Il ruolo del fotografo si è ampliato a dismisura nei nostri tempi di “dittatura dell’immagine” dove le domande nei confronti del fotografo d’arte sono divenute più esigenti spingendolo a ricercare strade sempre nuove per dare quel di più che non sia solo la perfezione tecnica o la bellezza di uno scatto oggi accessibili a tanti grazie alla diffusione della tecnica digitale.
Nel corso della sua lunga carriera da professionista, Paolo Aldi ha attraversato quasi tutti i settori a disposizione di un fotografo, accumulando, grazie anche alla collaborazione della moglie Lia, grande esperta nella stampa tradizionale e digitale, un bagaglio di conoscenze tecniche, culturali ed estetiche uniche. Egli ha via via indirizzato i suoi interessi verso una creatività svincolata dai limiti imposti dalle esigenze del mercato e caratterizzata dalla massima sperimentazione. Raffinato cultore sia della storia che della tecnologia fotografiche, si è cimentato in una ricerca a 360 gradi sempre più approfondita, ad esempio trattando le stampe con l’encausto in una contaminazione tra antico e moderno alla riscoperta di una profondità e luminosità dell’immagine ormai dimenticate.
Questa sua passione per la storia, sia della fotografia sia tout court, si ritrova nelle molte serie prodotte nel corso degli anni, ognuna con una propria motivazione concettuale e fondate oltre che sull’esito formale finale, sull’ideazione di temi e metodologie dotate di una propria autonomia culturale o sociale. Come appunto il grande ciclo “Bellum” che affronta e documenta analiticamente gli sconvolgimenti psicologici, fisici e somatici di un’umanità sottoposta a una violenza priva di senso. Oppure cercando di riprodurre con la fotografia la sensazione di un dinamismo cinematografico attraverso la visione alterata e sfocata delle figure che si muovono nello spazio. Paolo, della fotografia ama tutto, non si accontenta della bella immagine, vuole tornare alle origini per afferrare il senso e il valore dirompente della “scatola magica”, ripercorrendo e reinventando con l’occhio moderno i grandi generi classici magari coniugandoli o contaminandoli con tante altre discipline artistiche o umanistiche. In fondo, un ritorno agli albori della fotografia quando, durante lo sviluppo, in un’atmosfera di grande suspence, come per magia nell’acido appariva l’immagine.