Dopo che l’artista previsto nel numero di settembre, nonostante le reiterate assicurazioni, non mi ha fornito il materiale promesso, non disponendo di alcun sostituto, ho dovuto improvvisare in fretta e furia un’intervista all’unico artista che avevo sottomano: il sottoscritto.
Lo so, nasce un conflitto di interessi dalla commistione di ruoli tra intervistato, intervistatore e curatore della rivista ma, visti i conflitti a cui assistiamo quotidianamente in Italia, si tratta di un peccato veniale. Oltretutto, involontario e irrisolvibile.
Non nascondo che questa fosse un’intervista che, prima o poi, avevo intenzione di realizzare, e non perché, immodestamente, mi ritenga ai livelli dei grossi professionisti che ho pubblicato su FIDAart in questi anni, ma perché mi interessava chiarire in modo organico un punto di vista artistico abbastanza eccentrico rispetto al panorama esistente. Le ragioni di questo mio non considerarmi vincolato a consuetudini o tradizioni consolidate, nasce dalla molteplicità ed eterogeneità dei miei interessi professionali e culturali (architettura, design, arte, grafica, tecnologia, fotografia, fumetto, cinema, storia, metodologia, teoria, più tutto ciò che l’uomo produce e mi incuriosisce), che mi consentono di misurarmi con la massima libertà con “attività a quoziente estetico” tra loro molto diverse. Il mondo delle forme e delle immagini è talmente immenso che è un vero peccato limitarsi agli argomenti codificati o istituzionalizzati: meglio osservare le mille sfaccettature di una realtà globalizzata in continuo divenire. Io ritengo, infatti, che un artista impegnato a praticare tutta la vita la ripetizione di alcuni stilemi per garantirsi riconoscibilità e riconoscimenti, perda l’unica cosa che lo dovrebbe contraddistinguere dall’uomo “comune”: il privilegio di poter essere creativo.