Giuliano Orsingher si definisce un “recuperante”, ovviamente non uno di quelli alla ricerca di residuati bellici nelle zone di guerra, ma un “recuperante artistico”. E’ un termine nuovo, non so se coniato dallo stesso Orsingher, ma che ribalta l’approccio tradizionale alla creazione artistica, storicamente concentrata sull’ideazione “ex novo” dell’opera, spostandolo ad una fase propedeutica secondo cui l’opera esiste già “in nuce” ed è compito dell’artista scoprirla. Chi, come Giuliano, opera nel filone dell’Arte ambientale, vede la Natura come la fonte primaria del proprio fare arte: la bellezza è lì davanti ai nostri occhi, bisogna saperla trovare, liberandosi da condizionamenti culturali, estetici e formali, per “recuperarla”, reinterpretarla e ricollocarla modificata dall’intervento umano, in un contesto diverso che le attribuisca un nuovo senso culturale.
Le sue sculture e le installazioni site-specific nascono dunque dall’esigenza di comunicare un pensiero non fuori o contro, ma “grazie alla natura”, in uno scambio biunivoco in cui l’uomo (che è lui stesso natura), può intervenire su di essa con quell’atteggiamento di rispetto, di umiltà e di consonanza che solo gli permette di creare opere le quali, seppur rigorosamente progettate e costruite con i materiali e gli strumenti della modernità, appaiono molto simili a delle offerte votive primitive.
Cercare un rapporto privilegiato tra Artificio e Natura, è una prassi estremamente stimolante poiché apre nuovi orizzonti di significati e di bellezza tutti da scoprire, che richiede però un’intima adesione etica, prima che estetica, unita a una costante comunione spirituale e fisica, con il mondo naturale.
Chi, come Orsingher, conosce e vive le montagne i cui tempi si misurano in centinaia di milioni di anni, sa che l’uomo può solo tentare di penetrare il mistero del “Grande Disegno” in cui viviamo ed è cosciente che l’artista lascia un “segno” destinato a scomparire, del proprio passaggio.