E’ noto che tra musica e pittura ci siano delle forti affinità: entrambe lavorano con degli elementi immateriali e astratti come il suono e il colore i quali, combinati secondo formule alchemiche, cioè artistiche, si trasformano in emozioni e, in ultima analisi, in bellezza.
L’artista Jacopo Mazzonelli “nasce” musicista, pianista e compositore, e questo lo si comprende quando si guardano le sue installazioni e le sue sculture. Non tanto perché vi sono in quasi tutte le sue opere espliciti riferimenti al mondo della musica e del suono: pianoforti, violini, archetti, ponticelli ecc. oppure a oggetti “sonori”: orologi, diapason, giradischi, televisioni, metronomi ecc., quanto per la sua rigorosa impostazione formale e compositiva. La metodologia di tipo analitico con cui affronta i temi che lo interessano rivela un approccio multidisciplinare in cui confluiscono le sue passioni: la musica, appunto; la sperimentazione artistica; la commistione dei generi e discipline; l’invenzione progettuale; la ricerca filosofica; la tecnologia applicata al suono, al movimento, all’immagine; e soprattutto la passione quasi morbosa per tutti quegli oggetti estetici, vecchi, vissuti, capaci di far scattare un corto circuito creativo nella sua fantasia.
Il fulcro di ogni sua opera, infatti, è quasi sempre un’elaborazione concettuale e formale che prende l’avvio da “objects trouvé” (oggetti trovati) decontestualizzati e reinventati secondo la lezione delle avanguardie storiche o dell’arte povera. Jacopo li sceglie con cura e un’attenzione maniacale per tutti i dettagli, affascinato dalla loro storia, dalle loro forme, funzioni e materiali, per poi riassemblarli liberamente e costruire delle sculture o installazioni che raccontino tutt’altre storie, forme e significati. Si tratta di opere minimaliste e apparentemente semplici ma tali da necessitare spesso di una spiegazione per renderle decifrabili e concettualmente affascinanti.