Simone Turra è uno scultore; disegna e dipinge – molto bene – ma, innanzitutto, è uno scultore. Perché, per un artista, prima di diventare una scelta professionale, quella di scolpire o modellare è una necessità, una spinta interna a trasformare e manipolare la materia che, sola, permette di affrontare il faticoso impegno richiesto. Il pittore “simula lo spazio” con i chiaroscuri per creare la percezione della profondità; lo scultore “costruisce lo spazio” attraverso il lavoro sulla materia vera, concreta.
Turra scrive: “Amo la materia. Il legno va ascoltato, la roccia esplorata, la terra posseduta.”
Egli è artista completo che conosce e pratica tutti i procedimenti, sia quelli basati sull’apporto di materiali plasmabili (creta, gesso e, poi, bronzo), sia quelli sulla sottrazione della materia superflua da un duro blocco (legno, pietra ecc.) in cui la forma finale deve essere “trovata”. Tante le tecniche artistiche padroneggiate nelle molte importanti opere fin qui realizzate con un unico intento: raggiungere la massima libertà espressiva.
Dopo un passato di opere astratte e radicalmente concettuali, la sua ricerca si è avvicinata progressivamente ad una figurazione più attenta ai grandi temi della classicità e al recupero della tradizione popolare. Un ritorno alle forme archetipiche della scultura attraverso la riscoperta del corpo: corpi femminili sensuali, simbolo di tutte le emozioni e passioni umane e corpi maschili massicci, pesanti, piantati nella terra come alberi per sottolineare un rapporto inscindibile con la Natura.
Diversi, invece, i gruppi scultorei monumentali, rappresentazioni teatrali metafisiche in cui i personaggi rappresentano attraverso la complessa articolazione delle relazioni spaziali e psicologiche, una incomunicabilità di fondo e la sostanziale impossibilità di dare un senso alla realtà.