Mauro Larcher ha due grandi passioni che lo coinvolgono in modo totalizzante. Una è la montagna, con tutto ciò che la riguarda: escursioni, arrampicate, corsa, sci, scialpinismo (è maestro di sci); l’altra è la pittura, e anche questa lo impegna a tempo pieno. In realtà, sono le due facce della stessa medaglia: la prima rappresenta il momento esaltante dell’avventura, sportiva e mentale, in un ambiente incontaminato; la seconda, quello spirituale dell’emozione, della fantasia e della creatività che solo il rapporto diretto con la natura riesce a trasmettergli.
Ma, quanto è estroversa, solare, controllata, l’esperienza sui suoi monti, così, inaspettatamente, diventa istintivo, intimista, quasi malinconico, il suo linguaggio pittorico. Della natura, infatti, Larcher non rappresenta i colori infiniti, i verdi dei prati e dei boschi, gli azzurri dei laghi, dei torrenti e cieli infiniti e neanche le luci della neve o delle cime dolomitiche, ma cerca l’aspetto più oscuro, nascosto, misterioso e spesso inquietante. La natura non è il luogo della pace e della serenità, è invece un mondo affascinante e inaspettato in cui il suo sguardo attento vede forze che si trasformano in caos senza fine ed esplosioni di pura energia. Mauro, con una vena di romanticismo, è attratto dalle atmosfere ombrose e gotiche che fanno intuire presenze occulte, dai rami nodosi, contorti, sofferti, dai tronchi piegati o abbattuti; i colori sono scuri, il marrone che ritorna sempre, il nero ricavato dal catrame e le pennellate veloci e informali proiettate sulla tela; la foresta è come un organismo vivente e anche i gialli bruciati o le rosse macchie dei cardi ricordano l’attimo fuggente che precede il passaggio del tempo. Mauro ci racconta di una realtà in cui regna la Legge della Natura: il ciclo infinito della vita e della morte e, fuor di metafora, la fatica di raggiungere la felicità.