Le sculture astratte di Eduard Habicher sono il prodotto di una idea artistica e poetica e, al contempo, di una tecnica di lavorazione di un materiale particolarmente impegnativo come l’acciaio. Le due realtà non possono sussistere l’una senza l’altra. Nella realizzazione delle opere le sue tecniche assolutamente personali seguono due differenti direttrici che conducono a risultati espressivi, materici ed estetici molto diversi tra loro. Nella prima, egli parte da lamiere di acciaio inox che taglia, sagoma, martella, incurva, piega, arrotonda, salda tra loro per creare dei gusci autoportanti, smerigliandone tutti gli spigoli e lucidandoli a specchio per creare delle complesse forme libere, irregolari, organiche. Le sculture così ottenute, presentano un andamento morbido e naturale composto da un susseguirsi di superfici concave o convesse che riflettono la luce e il contesto spezzandolo in mille colori. L’altro filone della sua ricerca plastica, quello che ha contribuito a rendere famoso Habicher, è il suo utilizzo di putrelle di acciaio, profilati sagomati a doppio T, con cui egli “costruisce” nello spazio strutture filiformi, spesso topologicamente complicate, che poi colora di un rosso brillante. Questo sistema esecutivo si differenzia in modo sostanziale dal precedente perché si basa sulla “connessione” di elementi industriali dotati di sezione uniforme, che lo scultore “manipola” (con tanta fatica e lavoro!) per piegarli alla propria idea. La fredda geometria che la putrella porta dentro di sé viene contestata dall’artista il quale interviene deformandola, piegandola, torcendola nello spazio per mitigarne la rigidità tecnologica con l’intento di annullarne il peso ottico e fisico e sfruttandone le proprietà elastiche per creare sculture che oscillino e vibrino quando toccate.

L’acciaio, metafora di durezza e resistenza, subisce una metamorfosi in materiale malleabile dotato di leggerezza, elasticità e flessibilità e le putrelle si sublimano in un segno grafico preciso e continuo, un gesto veloce che si muove apparentemente privo di peso nell’aria. É come se Eduard volesse trarre dalla materia “inanimata” forme dotate di vita propria, capaci di esprimere attraverso le tensioni che vi sono imprigionate e il movimento nello spazio, la loro energia interiore.