Non so spiegarlo, ma i dipinti di Edgar Caracristi mi fanno venire in mente le atmosfere del romanzo – e ancor più del film – “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, di Milan Kundera.
Saranno i colori grigi e terrosi, sarà la luce sopita ed evanescente, sarà l’effetto di straniamento delle sue “scene” senza tempo, sarà per la filosofia venata di un pessimismo mite o il modo lieve con cui parla della tragedia, della solitudine, dell’incomunicabilità. Oppure, sarà solo perché Caracristi è un artista sensibile capace di opere poetiche, ricche di stimoli e di metafore nascoste che intrigano l’osservatore e fanno volare la sua fantasia.
Caracristi, infatti, è un artista che cerca sempre di comunicare una propria visione personale del mondo tramite le forme di espressione più varie: la pittura e il disegno in primo luogo, ma anche l’incisione, la scenografia e, non ultima, la musica la quale, per quanto astratta e aerea, riappare in molte sue opere. Come nelle 10 Variazioni della serie “Passacaglia sul relitto” nelle quali il tema centrale del “relitto”, viene continuamente riproposto e variato magistralmente in chiave monocromatica. Forse per le sue origini nordiche o per gli studi di scenografia, in Edgar è presente una predilezione per i paesaggi brumosi filtrati da una luce irreale e per le rappresentazioni teatrali intrise di un sottile romanticismo ed espressionismo tedesco. Questo perché il suo grande talento grafico prevale sul colore e il suo interesse per la figurazione è finalizzato al racconto di storie: storie vere, vissute o anche solo immaginate, ma capaci, innanzitutto, di coinvolgere emotivamente.
Ecco allora i dipinti della sua “recherche” intima in cui ritornano figure del passato sul filo della nostalgia o spezzoni di memoria soffusi di malinconia, oppure quelli più impegnati in cui anche i temi sociali e politici più pesanti e dolorosi, sono rappresentati con delicata e umana solidarietà.