Assieme alla scultura e alle arti figurative, il mosaico è una delle prime e più antiche forme artistiche; ha goduto il massimo splendore in un lontano passato ma possiede potenzialità e caratteristiche espressive modernissime come hanno insegnato il visionario Gaudì o la surrealista Nicki de Saint Phalle. Lezioni che Thomas Belz ha appreso a fondo e declinato secondo il gusto e sensibilità personali grazie sia alla vivida fantasia che alle notevoli competenze acquisite sul campo, raggiungendo una propria cifra stilistica ben identificabile. Belz non si limita, come la maggioranza degli artisti, al (comodo) ruolo del “pictor imaginarius”, il pittore che crea l’immagine da riprodurre, ma è anche il “musearius”, colui che realizza manualmente le proprie opere musive. L’artista non segue il metodo classico del disegno eseguito con tessere piane e regolari, ma procede attraverso l’accostamento dei materiali più vari ed eterogenei, preziosi, poveri, di recupero ecc., con cui costruisce complicate e multicolori composizioni mediante la giustapposizione di tanti episodi frammentati e autonomi.
La sua è una creazione “in progress”, ispirata dai materiali stessi, dalle forme, le decorazioni, i colori, la grana e i riflessi: un approccio inventivo lento e laborioso, accessibile solo a chi possieda una manualità fine e creativa, ma l’unico che gli permetta di procedere con le sue articolate tessiture.
È proprio in questi lavori privi di un tema prestabilito che Thomas riesce a dare il meglio del suo talento naturale e dove si intuisce la sua aspirazione a superare i limiti della superficie per conquistare lo spazio e la terza dimensione. Spesso, spinto dal bisogno di una ricerca più ampia, si cimenta anche con la scultura a tutto tondo, teste sfaccettate e totem rivestiti da tessere vetrose, e con una pittura dalle curve morbide e delicate tonalità, quasi naïf, in cui può finalmente “emanciparsi” dai vincoli delle pietre dure e spigolose e lasciar correre – completamente libera – la mano sulla tela.