Marianna Merler possiede, o meglio – è posseduta – dal sacro fuoco dell’arte, come si capisce anche dall’episodio della sindrome di Stendhal di cui racconta nell’intervista, da lei vissuta davanti alle ninfee di Monet e dall’entusiasmo che ripone in ciò che fa e nelle tante idee che ha voglia di realizzare.

La pittura è la sua attività espressiva primaria grazie alla quale riesce a trasferire la sua energia vitale prorompente sulla tela tracciando con pennellate veloci forme libere che esplodono e si dilatano nello spazio circostante. Protagonisti dei suoi quadri sono sempre i colori: il rosso, espressione della forza interiore, dell’attività nervosa e degli impulsi profondi, corrispondente simbolicamente al sangue, è sempre presente come metafora di un mondo minaccioso grondante sangue degli uomini e anche degli animali (altro tema che le sta a cuore); il blu è l’altro colore che ritorna nelle sue opere come elemento che introduce una quiete compensatoria capace di contrastare e dialogare con la drammatizzazione collegata alla potenza del rosso.

Più che dai concetti astratti, però, l’artista si lascia guidare dalle emozioni e dall’istinto tramite i quali rappresenta una propria visione del mondo che, pressata da un’urgenza interiore e da un impulso verso l’agire attivo, sgorga direttamente sulla tela senza mediazioni intellettuali.

Una seconda pratica artistica con cui Marianna esprime un altro lato della sua personalità, per certi versi antitetico al precedente per la pazienza e precisione che richiede, consiste nelle sue sculture molto particolari a causa del “materiale” da cui sono costituite: migliaia di soldatini di tutte le fogge, meticolosamente accostati e incollati in modo da formare sfere, figure umane, campi di battaglia, metafore “plastiche” di un mondo caotico abitato da istinti belluini. Un impegno di denuncia e critica idealistica, il suo, che con un linguaggio personale e innovativo, si contrappone alla vacuità di molta produzione odierna, riportando l’Uomo al centro del fare arte.