Marco Berlanda ricorda oggi con riconoscenza le lezioni del suo maestro e mentore, l’artista Mariano Fracalossi, quando «ci esortava costantemente a dipingere come il nostro cuore e la nostra mano ci dettavano». Questo semplice ma fondamentale precetto è sempre stato alla base della sua pittura. Berlanda, partito come pittore autodidatta a 43 anni (ora ne ha 86) – nonostante le esperienze maturate successivamente – è rimasto refrattario ad adeguarsi ai “modelli” che la cultura accademica proponeva, per rimanere sempre se stesso. La sua arte è stata definita naïf (ingenua), primitiva, brut (grezza), selvaggia, popolare, espressionista ecc., tutte categorie applicate a posteriori al suo “naturale” modo di dipingere il quale, più che da una “scelta artistica”, deriva da un suo bisogno interiore istintivo, totalmente libero da “pre-concetti” estetici e da “sovra-strutture” concettuali.
Marco dipinge quel che vede, così come il bambino che osserva per la prima volta con stupore ciò che lo circonda: immagini immediate e sincere che coinvolgono l’osservatore in quanto portatrici di emozioni e sentimenti vicini al comune sentire. Lui si aiuta con delle fotografie ma poi il soggetto esce da solo, il segno sul supporto è veloce e apparentemente privo di ripensamenti, la composizione nasce direttamente dalla storia ignorando prospettiva, proporzioni e colori reali: la realtà è una ed esiste nella testa dell’artista che esprime la propria visione al di fuori delle regole spazio-temporali. Anche la tecnica è veloce e istintiva, basata sull’uso di smalti brillanti stesi a campiture piatte su pannelli e, infine, marcati con una pesante linea di contorno nera che rende unitario l’insieme.
Non si tratta di una pittura fintamente ingenua per essere accattivante: è semplicemente il “suo modo” – assolutamente libero e personale – di vedere il mondo e le relazione tra gli uomini e le cose, e di rappresentarli rifiutando filtri e convenzioni culturali imposte dall’esterno.