Bepi Leoni è sempre stato a contatto con i colori, sia per lavoro sia per passione artistica eppure, paradossalmente, afferma: «Arrivato ad un certo periodo, il colore mi faceva paura».
Uomo schietto e diretto ma anche schivo e laconico, Leoni preferisce lasciare parlare i propri dipinti demandando a loro i concetti e le emozioni che vuole esprimere attraverso un linguaggio figurativo portato fino ai limiti dell’astrazione tramite la totale rinuncia alle forme e la riduzione della tavolozza a poche gamme cromatiche. I colori sono sempre delicati, morbidi, quasi trasparenti: a volte celeste, beige, azzurro, grigio, ma il bianco sporco è il colore che meglio rappresenta una vena malinconica sempre presente. Solo, di tanto in tanto, una pennellata rossa irrompe nella calma quieta della tela.
La visione è come distante, la percezione delle cose non è chiara, forse perchè la vita non è chiara: l’uomo vive in un mondo illusorio dove la realtà inganna ed è impossibile rappresentarla. Le figure allucinate, caricature deformate di uomini e donne che popolano i suoi dipinti sono un’umanità sospesa in uno spazio e in un tempo indefiniti. La fissità dello sguardo, le bocche contratte, inquietanti individui persi nella nebbia paiono in attesa di qualcosa o quancuno che non arriverà.
Anche le montagne che emergono lontane in un’atmosfera trasparente, sono ombre che si intuiscono: pura apparenza. La superficie delle tele, materica, compatta e stratificata come l’intonaco di un affresco consumato dal tempo, contribuisce a sottolineare la staticità del tutto.
La solitudine ritorna sempre in Bepi Leoni il quale esprime un punto di vista inquieto, scettico e relativista sul mondo e un pessimismo sulla condizione umana che richiama alla mente i versi di Quasimodo: «Ognuno sta solo sul cuor della terra, trafitto da un raggio di Sole: ed è subito sera».