L’arte astratta di Franco Albino è declinata con un tale garbo e delicatezza che permette a chiunque di accostarvisi senza il timore di sentirsi assalito da forme invadenti e incomprensibili o da una sovrabbondanza di colori dissonanti. Al contrario, all’interno delle sue atmosfere rarefatte, lattignose, quasi nebbiose, galleggiano pennellate dai colori sfumati e dotati di una geometria lasca che, dilatandosi nello spazio in un equilibrio di vuoti e di pieni, sembrano alludere a presenze indefinite. Caratteristica evidente dei suoi quadri, infatti, è il colore morbido, tranquillo, soffice, che anche se distribuito sulla tela in rapide campiture vagamente gestuali, possiede una struttura ordinatrice di fondo e comunica la passione dell’artista per il lavoro preciso eseguito con attenzione.
Il fondo è quasi sempre chiaro, compreso nella gamma dai bianchi ai grigi, dai celeste trasparenti al giallo pastello: colori caldi e luminosi così com’è la luce gardesana. Le forme sono sospese e indefinite, lievi e cangianti come l’aria: la pittura di Albino è allo stesso tempo dinamica e quieta, sensibile ma regolata da strutture invisibili, analitica ed entusiasta, come il suo autore. Uniche eccezioni i piccoli dischi rotondi trattati a tinte forti, generalmente blu, dai quali egli estrae delle tracce simili a graffiti disegnati d’istinto e di cuore. Altre volte, segni grafici oscuri attraversano le superfici del dipinto, come antichi geroglifici tracciati su muri rovinati, una specie di scrittura automatica che sembra rimandare a racconti interiori nascosti tra le campiture del colore.
In ultima analisi, è la leggerezza la cifra intima di Franco, sempre però accompagnata dalla costante tensione verso una chiarezza compositiva cui riportare il caos del mondo.