La Poesia visiva è un filone di nicchia, ma non marginale, dell’arte concettuale, in cui confluiscono esperienze molto varie in quanto operazione su due linguaggi tra loro autonomi: l’immagine, storicamente appartenente alle arti visive, e la parola, patrimonio della scrittura e del mondo dei significati. La parola, poi, oltre a riferirsi all’infinito universo dei significati, è essa stessa segno e immagine, possiede cioè a sua volta una forma “fisica” che può essere trasformata per assumere nuovo senso e valore estetico.
Nata con le avanguardie del primo Novecento, cubisti e futuristi, è oggi coltivata e sviluppata da persone come Renato Sclaunich, il quale nasce poeta e si avvicina e approfondisce in seguito questo particolare aspetto della poesia spesso definito un “ibrido di arte e letteratura”. Diversamente da altri suoi colleghi più legati alla scrittura le cui opere possiedono un carattere didascalico, Sclaunich è interessato a entrambe le componenti di questo genere di espressione. Immagine e testo sono complementari e importanti in egual misura nelle sue opere ai fini della comunicazione artistica, vivono in simbiosi e l’una non può vivere senza l’altro. Contenuto segnico e parola interagiscono tra loro, modificandosi a vicenda e caricandosi di nuovi significati imprevedibili che intrigano e coinvolgono l’osservatore perché lo obbligano a percorsi mentali ed estetici ignoti e ignorati.
Il “gioco” della poesia visiva di Renato si muove su questi due confini privilegiando di volta in volta le capacità di riflessione del linguaggio oppure la forza iconica delle immagini: essendo la sua un’arte slegata dalle tradizioni e dalla storia di entrambe le discipline, utilizza liberamente l’immenso patrimonio figurativo a sua disposizione e lo mette in relazione a testi suggestivi per innescare nuovi processi interpretativi.