Dopo anni di sperimentalismo concettuale e monocromatico, si assiste al ritorno da parte dei giovani artisti al piacere, intimo e perverso, della pittura-pittura. E’ il caso di Annamaria Targher, la quale, supportata da una ottima preparazione culturale e tecnica, crede con passione e tenacia nella possibilità di esprimersi tramite la pittura. Annamaria ha un’energia straripante, una fantasia in continua ebollizione, un sacro fuoco di fare, dire, scrivere che indirizza verso una produzione molto personale, ricca di idee, soggetti, forme, colori. Un’esuberanza, la sua, che si concretizza in estroversi dipinti ad olio su tela o pazienti e minuziosi collage su carta in cui, con una libertà creativa anticonformista e priva di inibizioni, utilizza linguaggi appartenenti ai repertori espressivi più diversi, figurativi, astratti, surreali, gestuali, pop, per “raccontare” momenti significativi del suo vissuto oppure riportare alla luce esperienze vere o semplicemente fantasticate.
Numerosi i cicli pittorici, legati tra loro da una coerenza sotterranea: le amate “Berg”, luminescenti montagne sospese tra figurazione e astrazione; il bestiario comprendente gli eccentrici animali domestici: “Muu”, improbabili mucche dadaiste, le “Capre” isteriche vestite di stoffe cucite a mano, “Aseni”; poi “Ca-vri-oi”, timidi caprioli incontrati nei boschi di casa, e “Orse”. E ancora: “Melograni”, frutti pop, festosi e sanguinanti; “Macarons”, pasticcini-UFO dai delicati colori pastello; “Flowers”, “Carte da parati”, decori dai multicolori fondi in cui galleggiano forme organiche, scritte, ideogrammi, segni, fiori, animali, che ricordano le pareti delle vecchie case tinteggiate con la pittura a rullo o i graffiti di Twombly rivisitati con una sensibilità tutta femminile. Annamaria rivendica la sua “pittura femminile”, scabra, sintetica, senza fronzoli: convinzione che ha il merito di promuovere una “maternità” dell’opera, spesso negata in nome della concezione di un’arte “senza genere”.