La peculiarità che rende Sergio Decarli un artista sui generis è quella di essere allo stesso tempo musicista-percussionista, pittore per lavoro e per passione, e scultore, per scelta e per necessità dato che i suoi strumenti musicali autocostruiti con materiali poveri e di recupero sono delle “sculture sonore” (vedi a pag. 17) con cui si esibisce in intense performance percussive traendo suoni imprevedibili e carichi di citazioni etniche mixati a basi elettroniche preregistrate.
Decarli da sempre affianca a queste ricerche sonore anticonvenzionali l’interesse per un tipo di pittura minimalista e concettuale che all’apparenza sembra distaccarsi nettamente dalla sua musica carica di ritmo ed energia. A questo riguardo è interessante la definizione che Decarli da della pittura e della musica «Il perfetto equilibrio tra armonia, melodia e ritmo», da cui si comprende come egli si riconosca all’interno dei canoni del Classicismo e che spiega bene il suo approccio a due linguaggi così diversi. Nei suoi quadri, quanto di più calmo e sereno si possa immaginare, la frenetica gestualità delle sue bacchette si trasforma in un ordine formale, regolare e rigoroso, da cui emerge la sua fascinazione per le lettere, i numeri e le parole come elementi base di uno spartito invisibile su cui si snodano composizioni di sequenze dai significati misteriosi e inquietanti.
A questo si aggiunga l’intimo rapporto fisico e tattile che Sergio intrattiene con la materia con cui esegue, con la cura e la precisione dell’artigiano, le superfici vellutate in terre e calce dei suoi quadri e le scritte perfettamente allineate. L’altro suo filone deriva dallo studio delle immagini di vecchi treni, dettagli poco significativi estrapolati da un universo marginale e invisibile ai più, che l’artista riproduce uguali fin nel minimo particolare. I risultati, nonostante la “burocratica povertà” del tema, sono stranianti e intriganti per la loro capacità di risvegliare lontane memorie.