Nell’ampio consesso degli artisti trentini, i lavori di Claudio Foradori si situano in un’area di confine posta tra un’astrazione istintiva, radicale e antidogmatica e una ricerca libera, interessata a sperimentazioni linguistiche più articolate. Nato come autore di una pittura ricca di forme e di citazioni e attento a comunicare una poetica che allude ad una dimensione spaziale e psicologica onirica, Foradori si è progressivamente avvicinato a forme di linguaggio astratto fermamente riduzionista, ‘informale’ come preferisce definirlo, fondato su campi di colore monocromatici, grandi acrilici delicatamente sfumati per creare un senso di profondità su cui galleggiano poche figure piane, appena accennate, simili a frammenti inorganici dispersi nello spazio.
In contemporanea a questi dipinti ha sviluppato una ricerca di opere tridimensionali complesse risultato di una volontà più costruttiva e razionale, in particolare tramite le infinite potenzialità offerte dalla vetrofusione che hanno portato a delle sculture-installazioni formalmente sempre più plurisignificanti aperte a letture diversificate. In un certo senso, sembra che la pittura estremamente minimalista e simbolica non sia più sufficiente a rappresentare i mondi interiori dell’artista e che le sculture dalle forme sinuose e sensuali in cui confluiscono, di volta in volta, materiali raffinati, vetro, marmo, acciaio inox, abbiano la capacità di restituire all’autore la narrazione ricercata. Come nel caso del ciclo dei ghiaccioli vagamente venati di un’ironia Pop sottolineata anche dai titoli, non esenti da interpretazioni alternative (le forme vivono anche di vita propria) perché, come spiega Claudio, possiedono la prerogativa di riportare a galla dall’inconscio i ricordi profondi dell’infanzia. Sia come sia, le sue forme in vetro multicolori moltiplicano all’infinito gli effetti di trasparenza e i riflessi, creando un labirinto cromatico fragile e cangiante in cui è facile perdersi.