«..non ho più dipinto dopo l’Accademia…» Questa risposta spiega bene quale sia l’idea di arte di Stefano Cagol e come, seppur laureato a Brera, consideri la pittura solo una fra le tante opzioni che stanno di fronte a chi voglia esprimersi senza vincolarsi ad un unico linguaggio. Così il suo nomadismo, geografico e culturale, fa parte del suo modo d’essere in quanto motivato a partecipare a tutto ciò che avviene nel mondo. Insomma, un artista del nostro tempo, curioso e aperto a tutte le esperienze quando utili a trasmettere i concetti che ha in testa, impegnato sui grandi temi sociali ed ecologici per portare un suo punto di vista personale, comunicatore («l’arte è comunicare») e sensibile a tutto ciò che è pubblico poiché esperto delle regole di una società massmediatica sempre alla ricerca di nuovi stimoli e provocazioni.
L’artista incarnato da Cagol non è tanto un creatore di manufatti, quanto un produttore di idee, di concetti e, conseguentemente, di azioni a valenza artistica finalizzate a stimolare delle risposte emotive e mentali negli spettatori coinvolti, direttamente o indirettamente. Diversamente da molti artisti ripiegati sull’autoreferenzialità della propria disciplina convinti dell’inutilità di relazionarsi con gli altri, Cagol si potrebbe definire un operatore culturale militante proiettato verso l’esterno che ambisce a incidere sulla realtà attraverso la sua pratica artistica. Convinzione che gli fa onore, particolarmente oggi, in tempi di disimpegno etico che sconfinano in una colpevole indifferenza, (se non connivenza). Non tutte le sue opere, però, si muovono sulla linea di un concettualismo simbolico, virtuale, ermetico perché, quando si confronta con opere tridimensionali, Stefano si dimostra artista capace di realizzare sculture e installazioni monumentali caratterizzate da rigorose composizioni dinamiche di sapore architettonico, attente al contesto e raffinate nei materiali.