Federico Lanaro è un artista anagraficamente giovane ma già in possesso di quel bagaglio di esperienze che ha permesso alla sua generazione di superare l’astratto per dedicarsi a una figurazione capace di esprimere compiutamente le nuove istanze culturali. Le sue opere sono caratterizzate da un tratto sintetico, più grafico che pittorico, condensato in pochi soggetti caratterizzati da contorni neri che definiscono figure a vivaci campiture piatte oppure eseguite con leggere pennellate in colori ‘fluo’ che contribuiscono a renderle ben riconoscibili. Un linguaggio essenziale, diretto, chiaro: dietro ogni dipinto si intuisce un pensiero analitico che non lascia spazio a gesti superflui, ma, allo stesso tempo, sottilmente ironico poiché gioca su più piani simbolici lasciando all’osservatore il compito di trovare significati palesi o nascosti.
Lanaro ha sviluppato un proprio linguaggio fondato sulla creazione di una personale Wunderkammer in cui un bestiario mitologico reinventato, antichi mappamondi svuotati, giradischi vintage di recupero, carte geografiche inesistenti, convivono in reciproche contaminazioni attraverso cui egli parla di temi oggi sempre più attuali, come la guerra, le armi, il conflitto tra uomo e natura.
Si tratta, forse, di un ritorno a un ruolo sociale dell’arte, alla denuncia e all’utopia come possibile via di salvamento di un mondo sconvolto e stravolto dalla fine degli equilibri: vedi la bimba sul dorso della iena, l’uomo pacificato con l’antilope, il cervo nel nido (del cuculo) o il teschio “ecologico”?
Nei messaggi che le sue opere comunicano (che, però, lui nega esserci), Federico è poeticamente assertivo, la sua cifra personale, infatti, è rappresentata da una texture continua e compatta di verdi boschi che ricoprono tutto: carri armati, pistole, coccodrilli, teschi. Che voglia dirci qualcosa?