Se è vero, come è vero, che ogni dipinto è un autoritratto dell’artista, cosa ci raccontano i grandi quadri di Gelsomina Bassetti?. Quando lei dice: «all’inizio io mi metto davanti alla tela bianca “vuota“ disponibile» e «i miei quadri “diventano” da soli», significa che ogni dipinto è vissuto come un’esperienza esistenziale e psicologica oltre che artistica. Non è l’automatismo psichico dell’inconscio teorizzato dai surrealisti ma ogni atto creativo sembra assai vicino ad una seduta psicanalitica.
L’arte di Bassetti c’è e si vede, nella raffinata tecnica pittorica, nell’uso di colori materici ma al contempo sobri e delicati, nelle composizioni essenziali di un classicismo senza tempo: ha studiato e vissuto in Germania per quindici anni ma la sua pittura deve molto all’arte italiana. Colpisce, infatti, l’atmosfera rarefatta e metafisica in cui uomini, donne, animali (tanti animali), sono sospesi e immobili in uno spazio senza tempo come in attesa che accada qualcosa.
Gelsomina è una persona solare e i suoi dipinti dalle morbide forme e dai colori tenui e caldi sembrano emanare una quiete serena eppure, ad uno sguardo più attento, nella staticità dei personaggi immersi nei loro pensieri che paiono porre domande senza risposta, nei fondi bianchi come antichi affreschi consumati dal tempo, si coglie una sottile inquietudine che racconta di assenze e di vuoto, di solitudini esistenziali e di incomunicabilità.
Ma, forse, la sua non è una pittura autobiografica, ma solo storie sapientemente rappresentate attraverso allegorie e simboli, di archetipi che salgono alla coscienza dal profondo del subconscio.