Nel corso dell’intervista, Luca Coser si definisce “artista molto mentale”. Questa è una delle chiavi di lettura per tentare di comprendere quelle caratteristiche che rendono il suo linguaggio artistico del tutto particolare. L’altra chiave è l’immediata impressione di omogeneità e coerenza che si percepisce di fronte al corpus delle sue opere: tutto si tiene come in una sorta di complicato diario disegnato in cui si svolge senza soluzione di continuità una narrazione che parla del suo mondo fantasmatico. Un mondo che, come si comprende dalle figure sfumate o solo accennate che affiorano da sfondi incerti oppure dalle scritte esplicite, rimanda ai film dei Maestri della incomunicabilità, da sempre il grande riferimento stilistico e psicologico dell’artista. A questa sensazione di narrazione per scene concorre anche la scelta della sapiente gamma cromatica ristretta a pochi colori freddi, quasi monocromatica, che contribuisce a comunicare un senso di assenza e di vuoto legati a un pessimismo esistenziale ineluttabile.
La poetica di Coser è complessa, concettuale, fatta di continui rimandi colti e, anche se lui dichiara: “non “invento nulla” e “racconto di me attraverso immagini rubate”, le sue operazioni con e sulle immagini che dipinge, più che a delle citazioni da cinefilo, appaiono più simili a un’autoanalisi svolta attraverso un procedimento teso a impadronirsi delle vite altrui. La sua è una pittura figurativa di grande qualità in cui le figure si decompongono e rimane la loro sagoma incerta, solo accennata bloccata nel vuoto di un fondo piatto e indeterminato, come in un gioco di ombre cinesi dove anche gli oggetti raccontano della solitudine dell’uomo. Il suo approccio può essere definito un “metalinguaggio”, vale a dire un’azione che il linguaggio artistico svolge sopra un altro linguaggio, quello cinematografico: in questo modo una finzione (l’arte), trae linfa da un’altra finzione (il cinema).
E’ l’artificio mentale con cui Luca mette in moto ricordi, pensieri, impressioni che, poi, con tecnica raffinata trasferisce su piccole carte o su tele monumentali. Le immagini vengono estrapolate dalla narrazione filmica, manipolate per cancellare il superfluo, reinterpretate o reinventate per ridurle all’essenza e per arrivare sempre a riscrivere “ossessivamente” una nuova storia personale.