I dipinti di Luigi Penasa presentano alcune caratteristiche singolari e originali che li rendono immediatamente identificabili anche ai meno esperti.
Innanzitutto, vi sono sempre raffigurate delle persone, delle figure o dei visi di uomini e donne dalle caratteristiche decisamente non comuni: esseri diversi, soprannaturali, mitologici oppure alieni.
“Personaggi” inespressivi connotati da simboli esoterici indecifrabili e sospesi in atmosfere ambiguamente domestiche, immobili o bloccati nel mezzo di un’azione, che dalle tele scrutano l’osservatore. La fissità e la vacuità inquietante degli sguardi, le posture, le espressioni apparentemente tranquille tradiscono un’angoscia latente priva di riferimenti a situazioni reali, riproponendo costantemente una dimensione di straniamento o di attesa.
Un altro stilema che si ripete nelle tele di Penasa è la ricchezza decorativa degli sfondi su cui queste improbabili creature galleggiano, fantasmi sospesi nel tempo e nello spazio che tentano di liberarsi da reti e legami che li avviluppano. Si viene così a creare un contrasto netto, uno scarto semantico, tra gli eterei soggetti in primo piano, connotati da tenui e delicati colori pastello, e i ricercati fondali su cui essi si stagliano, caratterizzati da disegni che ricordano vecchie tappezzerie, raffinati tessuti art deco oppure gli stencil a rullo usati in passato nelle case di campagna.
Cosa rappresentino questi esseri che popolano i quadri di Penasa e da quali luoghi fisici o mentali emergano, non è facile capire. L’artista dichiara di essere “ossessionato” da questi ritratti di visi, di torsi seminudi ma asessuati, da questi androgini con le teste ornate di corna o lunghe antenne contorte. Ma, forse, è inutile cercare spiegazioni a certe immagini uscite più dal gesto surrealista che muove da un inconscio insondabile che da una scelta consapevole dell’autore.