Ciò che colpisce nei dipinti di Paola Grott sono le enormi dimensioni delle sue tele e il senso di movimento che riescono ad esprimere attraverso i mille segni nervosi che corrono sulla superficie: dipinti monumentali resi leggeri e dinamici dall’uso sapiente di forme e colori. Paola ama i colori che usa indifferentemente in tutte le sue gamme: dai primari puri fino alle tonalità più varie che vanno dall’azzurro al verde, al blu, al viola, al giallo, al bianco non bianco fino ai neri e all’oro che emana un fascino simbolico o alchemico particolare.
La complessità compositiva è esaltata dalle pennellate che non sono mai piatte, bidimensionali, ma sovrapposte in successivi passaggi in modo da poter vibrare e dare un senso di profondità ed ottenere così una pittura sfumata, evanescente, come vista attraverso un vetro opalino. Complesse figure gestuali vi si agitano, come organismi viventi aggrovigliati in uno spazio, a volte aperto e dilatato, a volte definito e costretto entro rigidi confini.
L’artista affronta con metodo i temi che si pone e, fino a quando non li ha esplorati, sviscerati e introiettati, vi lavora infaticabilmente spinta dalla necessità di immergersi totalmente nella materia. Nella sua pittura espressionista in cui si sente la lezione di Rothko filtrata però da una sensibilità più emotiva, si riconoscono brani di natura o memorie fantastiche vagamente antropomorfe, racconti trasferiti sulla tela e composti con ideogrammi di una scrittura inventata (ma che potrebbe anche essere vera), attraverso segni sospesi come in volo o mossi dal vento, in un turbinìo ascendente.
Solo nelle opere più recenti Paola ha iniziato a racchiudere in forme curve chiuse il suo “caos controllato”, forse per il bisogno di portare un ordine razionale in un’esperienza informale troppo coinvolgente, o forse solo per aprire un nuovo ciclo nella sua vita artistica (e personale).