E’ difficile pensare a Mirta De Simoni come ad una pittrice dell’Espressionismo astratto, non perché la sua pittura non sia vicina a quella corrente ma perché lei è quanto di più lontano si potrebbe immaginare da quei pittori che sono passati alla storia come “Gli irascibili” e dei quali, un buon numero è morto suicida (Mark Rothko, Arshile Gorkj) o alcolizzato (Franz Kline e, per certi versi, anche Jackson Pollock). Invece, Mirta, e già il nome è indicativo, è una persona tranquilla e dolcissima che partecipa intensamente alle attività di associazioni cattoliche di Arte Sacra.
Insomma, per chi ragionasse per stereotipi è garantita una piacevole sorpresa: l’arte informale, gestuale, materica, espressionista non è appannaggio solo di spiriti esagerati ma può scaturire direttamente anche da un animo sereno e giudizioso. Oppure, al contrario, sotto un’”apparente” domanda di normalità e buon senso ribolle qualcosa di nascosto, di non detto, che l’arte riesce sublimare e trasformare in forza espressiva e bellezza?
Ma tant’è, ciò che conta è il risultato, cioè l’opera, e in questo caso non si può che rimanere stupiti dall’energia del suo linguaggio caratterizzato da colori vivacissimi, generalmente primari, stesi con ampie pennellate o anche con le mani, oppure mescolati a vari materiali solidi per ottenere superfici scabrose come paesaggi primordiali scavati dal tempo.
Più che da Rothko, che dichiara di amare, nel suo modo di lavorare sulla tela appoggiata al pavimento, c’è Pollock con la sua pittura corporea in cui l’artista entra nella materia manipolandola e trasportandola sulla superficie seguendo impulsi dell’istinto. Ogni dipinto diventa un’esperienza che coinvolge tutto l’essere ed è difficile, dopo aver assaporato una tale libertà esaltante, ritornare alla normalità della vita di tutti i giorni. Ma si vede che Mirta possiede risorse non comuni non solo sul piano artistico ma anche a livello di autocoscienza.