Dopo Diego Mazzonelli e Mauro Cappelletti, Gianni Pellegrini chiude il ciclo delle interviste ai membri del gruppo “Astrazione Oggettiva” costituito nel 1976 (Senesi e Schmid sono scomparsi due anni dopo) consentendo un confronto tra i lavori realizzati dai tre artisti nel corso dei loro percorsi personali. Sicuramente, Gianni Pellegrini è rimasto coerente con la filosofia di fondo del Manifesto: “…consapevolezza degli elementi che realizzano la pittura stessa: il supporto, il colore, il segno…”, “…necessità di individuare la logica progettuale intesa come momento di conoscenza…”, e, in particolare ”…operare sui presupposti e sui fini di una riflessione oggettiva e metodologica della realtà pittorica, secondo una prassi che si realizza sull’analisi delle procedure operative e dei mezzi espressivi subordinando le “intenzioni soggettive» cioè personali…”. E, soprattutto, pur avendo sperimentato durante il suo percorso artistico linguaggi anche molto diversi, è sempre rimasta inalterata la sua adesione al mondo dell’astrazione, comunque declinata.
Oggi, nel tentativo di ottenere un’assoluta semplificazione degli elementi espressivi, sta progressivamente ritornando alle primitive analisi sulle proprietà emozionali e psicologiche del colore. Nelle sue tele (spesso di dimensioni enormi) caratterizzate dall’uso di gamme di colori inusuali e tonalità imprevedibili, la ricerca si è spostata sull’uso di elementi appena definiti: impronte, segni, tracce chiaroscurali impalpabili, ombre, penombre che rendono impegnativa la percezione di differenze minimali. Pellegrini, ormai artista compiuto, maturo e consapevole, dopo aver lungamente lavorato sulla riduzione e sulla rarefazione dei linguaggi, sembra sempre più interessato ad avvicinarsi al loro ‘quasi-azzeramento’ attraverso una pittura minimalista portata ai limiti estremi oltre i quali rimane solo la pura monocromìa.