Cresciuto artisticamente negli anni Sessanta a Roma a stretto contatto con i fermenti dell’Informale italiano, Ivo Fruet è sempre rimasto fedele alla filosofia che costituiva questa importante corrente del ‘900: la negazione della forma e la fondamentale importanza attribuita al gesto e alla materia.
Il gesto diventa atto artistico, unico in grado di trasmettere l’incomunicabile perché capace di superare il filtro della ragione e portare alla luce le emozioni profonde della psiche.
Conoscendo Fruet si capisce che questo tipo di espressione artistica che esige passione, determinazione ma, soprattutto, impeto psichico e azione fisica, gli appartiene ancor oggi. Egli, infatti, ha un rapporto fisico strettissimo con la materia che è protagonista delle sue opere in quanto la realizzazione delle sue tele, spesso gigantesche, impegna tutto il corpo che deve percorrere e appropriarsi dello spazio. Il tempo della meditazione e del pensiero è separato dal momento pittorico vero e proprio che deve potersi esprimere senza vincoli e condizionamenti di sorta, preciso, deciso, quasi violento, senza ripensamenti che bloccherebbero il libero flusso dell’energia creativa.
La sua capacità di padroneggiare gli strumenti e i materiali più vari gli hanno permesso di affrancarsi dai vincoli della “manualità” dotandolo di una totale libertà slegata da schemi compositivi e che si esprime in segni immediati, veloci, dinamici, immersi in grandi campiture di colori che sgorgano direttamente su ogni tipo di supporto.
Le forme non sono mai morbide, accattivanti, delicate; se ogni dipinto racconta l’artista, allora dentro i suoi quadri, come nelle sue sculture, si sente sempre ribollire quella inquietudine esistenziale che spinge alla continua ricerca di qualcosa d’altro.