Il pensiero che si trasforma in forma

Paolo Tomio

Non tutti sanno in cosa consista il lavoro di uno scultore come Bruno Lucchi perché, spesso, della sua attività, colgono solo il punto di arrivo che si sostanzia nell’opera conclusa. Eppure, il suo lavoro, per tanti versi simile a quello del pittore nell’ideazione e negli studi iniziali, ad un certo punto se ne differenzia in modo sostanziale per una serie di ragioni connesse alle peculiarità del suo fare arte.

Innanzitutto, il passaggio dalla bidimensionalità “concettuale” dell’immagine su carta o tela alla forma tridimensionale, vera, concreta, materica. Contrariamente ad un dipinto che si svolge su un supporto sostanzialmente piano, la scultura è a tutto tondo e, perciò, deve affrontare i problemi specifici che pongono le opere plastiche. La scultura classica si basa sostanzialmente su due procedimenti: quello “per mettere“, cioè sull’apporto di materiali plasmabili (creta, gesso ecc.), e quello “per levare“, basato sulla sottrazione della materia superflua (legno, pietra ecc.). Lucchi, pur lavorando con numerosissimi materiali, ama la creta e con essa, attraverso la continua sovrapposizione di strati che gli permettono di raggiungere la sua idea, “costruisce” gran parte delle sue sculture.

Caratteristica della “modellazione” è che il momento creativo vero e proprio va costantemente di pari passo con la componente manuale; si tratta, infatti, di una tecnica che richiede tempo, calma, pazienza, grande sapienza e maestria artigianale perché si sviluppa nel tempo trasformandosi poco alla volta nella forma immaginata o inseguita. Una manualità faticosa cui si accompagna spesso anche un impegno fisico pesante poiché Bruno realizza pezzi talmente grandi e complessi da richiedere l’aiuto di più persone.

Altra singolarità delle opere plastiche è di non possedere un punto di vista unico e privilegiato come i dipinti, ma l’osservatore deve girare attorno all’opera cercando di coglierne l’essenza da più punti di vista e formarsi mentalmente un’immagine completa dell’oggetto. L’appropriazione-comprensione di opere tridimensionali complesse richiede un lavoro interpretativo non immediato o intuitivo e, in questo senso, una scultura, per le relazioni che intrattiene con lo spazio, è molto più simile all’architettura che non alla pittura. E, per certi versi, è molto vicina anche a certe forme di danza, cinema o teatro in cui è predominante il rapporto tra i pesi e i volumi, tra vuoti e i pieni e, soprattutto, tra luci e ombre.

Una volta ideato e plasmato il modello in creta, il lavoro è tutt’altro che concluso. Se si tratta di un pezzo originale destinato a rimanere unico, il modello ancora fresco va tagliato, smontato in più pezzi e, ognuno di questi, deve essere pazientemente svuotato del materiale portando lo spessore della creta a qualche centimetro in modo da ridurre il pericolo di spaccature o crepe durante la cottura. I singoli pezzi, ridotti a un involucro vuoto autoportante, sono infine assemblati per ripristinare la scultura di partenza e lasciati asciugare in modo naturale anche per diversi mesi.

La cottura finale è il passaggio fondamentale che tiene sempre con il fiato sospeso l’artista a causa del timore, sempre presente, di vedere settimane di lavoro polverizzarsi o fratturarsi nel forno. Dura 10-12 ore (e il doppio è necessario per il raffreddamento) e va controllata secondo un rigoroso percorso termico. Solo alla fine del processo, quando l’opera esce dal forno, lo Bruno saprà se tutto è andato a buon fine e se la creta si è trasformata in terracotta integra, dura, resistente e dal tipico colore biscottato.

Infine, va sottolineato che la scultura possiede un’altra particolarità che la rende unica: anche se nei musei e nelle gallerie è assolutamente proibito – le sculture andrebbero toccate – non con un dito ma con tutta la mano che deve accarezzare e seguire le forme, sentire il materiale, le superfici lucide, lisce o scabre, i tagli, le increspature e le pieghe in modo da ripercorrere il pensiero e la fatica dell’artista. E’ grazie al tatto, il senso principale dello scultore, che è possibile comprenderne la complessità artistica e tecnica, altrimenti la fruizione di una scultura diventa troppo simile a quella di un’immagine pittorica, bidimensionale e priva di fisicità, e anche il lavoro dello scultore perde la sua specificità perché erroneamente assimilato a quello degli artisti visuali. Bruno dice che si dovrebbe sempre esporre il cartello: “Si prega di toccare!”.

E’ per le ragioni brevemente accennate che non tutti gli artisti possono improvvisarsi o, peggio, definirsi scultori: è relativamente facile ideare e disegnare un bozzetto ma, alla prova dei fatti, la “vera scultura” sarà creata solo da qualcuno che è capace di padroneggiare la materia e “trasformare il pensiero in forma”.