Matteo Boato, LOME, Aldo Pancheri, Paolo Tomio
Copertina e apparato grafico di Paolo Tomio
TRENTINI E RUSSI
Franco de Battaglia
Benché espressione di territori non commisurabili, il Piccolo Trentino dei monti e l’immensa Madre Russia dei fiumi e delle steppe hanno spesso avuto, nel corso della storia, contatti e incontri anche artistici, scambiandosi reciproche suggestioni. Alla fine del Settecento i venditori di stampe del Tesino avevano raggiunto la lontana Pietroburgo, dove regolarmente smerciavano immagine e vedute, predisposte dai Remondini di Bassano. Perfino un negozio-esposizione vi era stato aperto. Nella Belle Epoque, Levico con le sue acque termali e il lago, immerso nella soffusa luce della Valsugana, era una meta preferita per la nobiltà russa che vi soggiornava a lungo. Lo stessso Lev Tolstoj, importò dalla Val di Non i meli da impiantare nella sua tenuta di Jasnaia Poljana, nel Distretto di Tula, mentre nella Grande Guerra, fra il 1914 e il 1918, sono stati numerosi i soldati trentini prigionieri, travolti dal crollo dell’impero zarista che nelle isbe, presso le famiglie contadine dove lavoravano, sono venuti a contatto con le popolazioni russe, riportandone un’impressone di profonda umanità, oltre che di estrosità nell’arte e nella musica. I diari militari, spesso illustrati da schizzi e impressioni immediate, restano una testimonianza vivissima di quanto i popoli possano diventare amici anche se le loro nazioni si combattono. Nell’ultimo conflitto, la “guerra patriottica” che liberò l’Europa dal nazismo e dal fascismo, uno scrittore vicino al Trentino come Mario Rigoni Stern, seppe cogliere l’intensità di un popolo, quello russo, sul quale il nemico aveva infierito con azioni di sterminio.
Ora queste suggestioni lontane, queste curiosità di reciproche attrazione fra territori così diversi, ma ben caratterizzati nella loro identità (le grandi pianure, le alte ontagne, le estensioni, le intensità) fanno da “fondo”, quasi la “base” che i pittori usano preparare sulle loro tele, a un incontro tutto nuovo, attualissimo, apparentemente lontano dalla storia, e però con radici profonde nell’esperienza che nel corso del Novecento i movimenti artistici europei hanno sperimentato. Che a partire dal futurismo (e un nome trentino su tutti accanto ai futuristi russi occorre pur ricordarlo, Fortunato Depero) si sono anche differenziati fra Est e Ovest, ma non si sono mai separati. Piuttosto a volte si sono inabissati in percorsi anche carsici, per riemergere però con proposte fresche, meritevoli di confronto. Da un lato, infatti, la reazione alla lunga stagione del realismo socialista ha spinto gli artisti russi più creativi ad esplorare strade originalissime rispetto ai percorsi occidentali (e si osservino gli affascinanti “fumetti letterari” di Vladimir Shinkarev), dall’altro una stanchezza progressiva verso il concettualismo e l’inquinamento visivo consumistico ha portato artisti come Tomio (si pensi alle sue partitura di colore) o Matteo Boato (con la sua pittura luminosamente materica) a raggiungere spazi nuovi. Ariosi. Ora queste esperienze confluiscono in una mostra che si richiama ad una prima rassegna della’arte russa promossa dal gallerista roveretano Sergio Poggianella nel 2001(“Russo 6”) e che ora unisce, nella sua proposta, quattro artisti russi e quattro artisti trentini contemporanei.
La mostra ha il titolo “Senza confine”, ed apre il Festival internazionale: “Russia: dialogo fra culture” in programma a Trento dal 2 al 14 giugno. Il festival comprende, oltre all’esposizione pittorica, manifestazioni teatrali e concertistiche, dibattiti culturali, incontri di collaborazione fra le strutture museali. Il punto di fuoco resta però la mostra d’arte con Vladislav Efimov, Elena Nemkova, Vladimir Shinkarev e Vitaly Yermolayev per la parte russa, Matteo Boato, Lome, Aldo Pancheri e Paolo Tomio per quella trentina. Le innovazioni originali, le sorprese che mostrano le strade che l’arte contemporanea esplora, quasi un filo d’arianna capace di rintracciare momenti e situazioni nel labirinto mediatico, di estrarre segni e suggestioni da paesaggi fisici e mentali per non farli appiattire sulla globalità virtuale, non mancano. Si va dai “romanzi” pittorici di Shinkarov alle “fluide sonorità” di Tomio, dall’autobiografismo di Elena Nemkova, che usa la propria vita come un “ready made” di rivisitazione delle icone della contemporaneità (Fomenko), alla policromia fantastica di Yermolayev, dagli inquietanti angeli-demoni di Efimov, alle superfici visionarie di Boato, dalle “insonnie” di Lome nel Bosco dei Poeti, ai frammenti di Aldo Pancheri, pezzi di vita dispersi, icone di speranza spezzate in uno spazio fisso, immobile, quasi una prigione d’eternità. E’ una rassegna di incontri e confronti che possono aprirsi a nuove esplorazioni di vita e destini.
Estratto dalla presentazione della mostra
“FIL ROUGE DI OTTO ARTISTI PER UN DIALOGO FUTURO”
Maurizio Scudiero
E infine abbiamo Paolo Tomio, che è architetto, e dunque ha una formazione fatta di “rigore costruttivo”, ma con il valore aggiunto di quella “poetica fantasia” che è appunto tipica di questa professione. E così gli strumenti della professione (la stampa da computer, quella digitale in genere) sono qui “piegati” ad una creatività volumetrico-cromatica che tenta così di ovviare alla mancanza “materica” di pigmento pittorico.
Emergono dai suoi lavori forme plastico-dinamiche, sinuose, che ricordano “per li rami” la stagione astratta dei futuristi Balla e Depero (1914-1916), ma che hanno, inoltre, come notava Claudio Cerritelli, anche una sorta di “contiguità” con le ricerche su colore e musicalità di un Itten, magari filtrato, in epoca più recente, da un Veronesi.
Insomma “mimesi” e “metamorfosi” formale convivono in questo percorso che l’artista porta avanti con assoluto rigore, rifuggendo la tendenza alla serialità (tipica dei mezzi di riproduzione meccanicistica), e piuttosto “umanizzandoli” attraverso l’applicazione di una regola “aurea” che si fonda su di una “poetica di fondo” che è, di fatto, il leit-motiv originante delle sue opere.