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Copertina e apparato grafico di Paolo Tomio

Testo critico

FLUIDE SONORITA’

Claudio Cerritelli

Non poteva che nascere da una formazione di carattere progettuale e architettonico la visione cromatica che Paolo Tomio propone in queste tele realizzate con sistemi grafici computerizzati, sottratti alla serialità digitale ed inventati -volta per volta- come opere uniche e irripetibili.

Nei processi di stampa della digital art la superficie non presenta alcuna vibrazione materica, è un velo uniforme e impalpabile che guida l’occhio lungo le illusioni prospettiche dello spazio, dentro le gradazioni cromatiche generate da sottili trame lineari, fasce chiaroscurali di calibrata perfezione che determinano la definizione plastica dell’immagine. Consapevole dei processi costitutivi della tecnologia digitale, Tomio non intende simulare la “pittura dipinta” ma è interessato a esprimere l’essenza della luce meccanica sconfinando dalle norme disegnative del progetto architettonico.

In tal modo, l’artista mira a trasgredire i codici grafici utilizzati nella sua professione di architetto elaborando forme curve complesse, fluide evoluzioni cromatiche funzionali al piacere dell’occhio che amplificano l’orizzonte mutevole del visibile.

Come avviene in alcuni esempi della pittura astratto-ambientale, Tomio sceglie di dialogare fisicamente con la parete espositiva, per questo applica le tele colorate su telai dallo spessore accentuato, quasi per conferire oggettualità alla superficie e renderla fisicamente tattile, anche lungo i bordi esterni. Con quest’orientamento l’artista si concentra sul dinamismo percettivo del colore e – nel contempo – valorizza il senso di sospensione del supporto collocato nel bianco indistinto della parete, come una sinfonia vagante nel silenzio del vuoto.

Non a caso, il titolo adottato per questa mostra richiama in modo emblematico le avventure dell’occhio sinfonico, gli aspetti musicali del visibile, le sonorità sinestetiche che si irradiano dalle forme dinamiche, ben sapendo che tra suono e colore si stabiliscono relazioni poetiche, allusive, evocative, capaci di sollecitare percorsi irrazionali del pensiero. Non è infatti possibile teorizzare una relazione scientifica tra gli universi paralleli della musica e della pittura, del suono e del colore, esiste piuttosto uno slancio intuitivo che nasce dalle emozioni interiori e che esplora le tensioni dello spazio muovendosi sulle ali del fantasticare.

Da un punto di vista formale, l’allusione alle estensioni musicali del colore-luce significa per Tomio affidarsi alle energie sovrapposte delle forme fluide, alla fusione di campi sensoriali  disarmonici che portano l’occhio a ritrovare altri tipi di equilibrio. Non vi sono linee rette, composizioni simmetriche, rapporti congrui tra le diverse forme e i differenti pesi cromatici, ma un continuo slittare dei ritmi compositivi che sconfinano dai perimetri logici del pensiero. Quando si trova nella condizione di progettare un’immagine sembra che l’artista voglia agire al suo interno, portarsi di là dal luogo che sta osservando, proprio perché lo sguardo deve svincolarsi dalle relazioni con il mondo esterno ed entrare in simbiosi con gli eventi imprevedibili dell’immaginario. Sembra un paradosso, ma bisogna dire che Tomio è impegnato in una sfida che non a tutti riesce, quella di umanizzare le proprietà del colore digitale, attivando percorsi di lettura giocati sul continuo spiazzamento delle forme, sulla dislocazione delle sue strutture simboliche.

Sempre più lontano dalle regole del pensiero architettonico, l’artista coltiva il puro relativismo spaziale, prova l’ebbrezza di smarrirsi nelle gradazioni cromatiche bidimensionali fino a inventare un sistema plastico di elementi avvolgenti e inesplicabili, tali da non avere più vincoli gravitazionali. In ogni dipinto emerge la dimensione della casualità, l’alterno contrapporsi di tinte fredde e tinte calde, senza che vi sia una ragione univoca che possa sostenere questa dialettica espressiva. Infatti, nelle diverse immagini computerizzate si raccolgono le pulsioni dell’inconscio, la necessità di abbandonarsi ai sensi della vita in modo non più rigidamente progettabile ma attraversato da sensazioni fluide.

I titoli parlano di organismi innaturali, esplorano la dimensione onirica dell’invisibile, seguono le avventure del pensiero disorganico, esplorano le componenti non esplicite del visibile, si pongono in uno stato di attesa verso nuovi risvegli della sensibilità cromatica. La visione è fluttuante, i perimetri si dilatano, traggono energia dalle forme sconosciute, nascono da tentazioni illimitate, da un  metodo creativo dove il senso del vuoto assume un ruolo dominante. A osservare da vicino le campiture del colore digitale si avvertono forme nitide oscillanti che abitano lo spazio attraverso minime variazioni di tono, dall’azzurro glaciale a calde densità del rosso, con variazioni verso il viola che non escludono zone sospese nel verde e minimi bagliori del bianco che incontrano le vibrazioni del blu. Non è possibile descrivere ciò che Tomio pone in risalto nell’evento topologico di ogni opera, lo spazio non è mai statico, le forme si piegano, si avvolgono, lasciano intuire le parti nascoste, ciò che sta dietro la soglia dell’immagine.

La visione elastica esprime lo stato di inquietudine del pensiero travolto da tensioni curvilinee che l’artista deriva dalla memoria degli elementi naturalistici, soprattutto la predilezione per i movimenti ondeggianti, situazioni fluide che consentono di rimandare alla citazione goethiana che immagina l’acqua come elemento che somiglia all’anima dell’uomo. L’osservatore non può fare altro che entrare nel circolo vizioso delle costruzioni luminose, in quel campo mutevole di percezioni cangianti dove le relazioni cromatiche esprimono fasi combinatorie sfuggenti.

Tutte le energie liberatorie di questa ricerca garantiscono all’occhio sinfonico di cui parla Tomio ampi margini di manovra per alternare colori pacati e colori squillanti, senza mai rinunciare al desiderio di forme morbide, sinuose, ripiegate all’interno di una complessità formale seducente come può essere un microcosmo che si dilata verso l’infinito.

Il concetto di “continuum” allude all’estensione illimitata delle forme, in realtà ogni immagine è una porzione di spazio posta in relazione con la totalità, dettaglio di uno flusso curvilineo ben più ampio dove la pluralità degli elementi dinamici cresce a dismisura.

In realtà, sognando queste atmosfere luminose l’artista si immerge nelle spirali della conoscenza realizzando immagini sempre diverse, visioni provvisorie di un universo cromatico come luogo di libertà espressiva, tensione a trasformare un frammento circoscritto in una visione totale.