ARTISTI TRENTINI: Matteo Boato – Mauro Cappelletti – Silvio Cattani – Aldo Pancheri – Paolo Tomio
ARTISTI VENETI: Fabio Citton – Gino Di Pieri – Emilio Pian – Raffaele Rossi – Angelo Zennaro
APPRODI INCERTI
Davide Francesco Rota
La terra trentina è legata a doppia mandata con Venezia e la sua laguna. Irrorate dall’attraversamento di Adige e Brenta, molti altri corsi d’acqua, sfociando nella laguna veneta, si fanno ideali collanti tra due terre dal passato comune. Tale comunanza territoriale e socio-culturale, pur esercitandosi nelle rispettive ineludibili peculiarità, trova nella definizione del glottologo Graziadio Isaia Ascoli Tre Venezie l’espressione più significativa, sia a livello storico che per le influenze esercitate sul futuro dei popoli che in queste terre hanno vissuto e ancora ci vivono. La Venezia Tridentina e quella Euganea, insieme alla Venezia Giulia, diventano negli anni difficili delle Guerre d’Indipendenza, l’esempio di quell’italianità culturale che, a prescindere dalla retorica irredentista, è stata il motore che ha condotto alla formazione del sentimento risorgimentale e alla partecipazione della società alla causa nazionale. Il riconoscimento di tale indiscutibile influenza vicendevole trova una giustificazione storica nell’occupazione di Rovereto da parte della Serenissima che, per circa un secolo, divenne propaggine di Venezia ai piedi delle montagne trentine. Venezia si spinse fino a Rovereto, ponendo le basi al grande sviluppo economico e intellettuale che portò a definirla la “Piccola Atene” del Trentino, meta di artisti e filosofi, di mercanti e artigiani. Sulla scorta di quest’unione secolare qui brevemente accennata, s’è pensato di evidenziare attraverso questa mostra quanto l’influsso reciproco tra Trento e Venezia sia una realtà assolutamente viva e pulsante, anche in ambito artistico. Vengono così esposte le opere di dieci artisti, cinque trentini e cinque veneziani, che, messe in rapporto l’una con l’altra, riescono a ricostruire il dialogo tra due terre che pur nella contemporaneità di visioni e linguaggi, non prescindono mai da un comune sguardo all’arte e alla vita maturato nel corso di secolari influssi.
I risultati ai quali gli artisti presenti in mostra giungono con la loro produzone sono variegati sia tecnicamente che stilisticamente. Pur nella diversità, è possibile trarre le fila di un rapporto dialogico e di uno scambio d’esperienze creative che si fa melting-pot contemporaneo tipico delle città cosmopolite e aperte al rapporto con l’alterità.
In ossequio all’urgenza della chiarezza e della comprensione, s’è pensato di trattare gli artisti distinguendoli per provenienza; da una parte quelli trentini: Matteo Boato, Mauro Cappelletti, Silvio Cattani, Aldo Pancheri, Paolo Tomio; dall’altra quelli veneziani: Fabio Citton, Gino Di Pieri, Emilio Pian, Raffaele Rossi, Angelo Zennaro.
Le tele presentate da Matteo Boato mostrano le diverse declinazioni dell’ambiente urbano. Definito da Arnold Tribus “pittore di paesaggio”, Boato non smentisce la sua propensione alla rappresentazione cittadina intesa non come rappresentazione pedissequa del dato reale bensì come dimensione metastorica in cui s’è sedimentata la cultura del passato e si esercitano le contraddizioni del presente. I paesaggi indagati da Boato si caricano di un portato esistenziale che riconduce le opere ad uno straniamento rispetto all’oggetto rappresentato invitando lo spettatore alla meditazione distaccata di ricordo brechtiano.
Mauro Cappelletti sceglie il cromatismo come ambito di ricerca d’elezione: nelle opere esposte il colore diviene silente superficie monocroma sulla quale trovano posto tracce cromatiche direzionali che conferiscono all’insieme una forte vibrazione cromatica. In Monocromopluritono, è evidente il desiderio del superamento della tela monocroma intesa come spazio immobile e dello spostamento dell’attenzione verso una modulazione tonale atta a rendere più dinamica la percezione cromatica.
Le opere di Silvio Cattani si mostrano agli occhi dello spettatore come semanticamente oscillanti: l’approdo incerto per l’artista ha un’ambivalenza stilistica e semantica; se da una parte i segni grafici si dispongono sulla superficie fluida ma accesa del colore di fondo, dall’altra tali segni si trasformano in particelle segniche ancora in corso di formalizzazione. La pittura diviene così pretesto per inscenare la magmatica realtà interiore, dimensione proto-narrativa i cui elementi linguistici ricercano una dimensione stabile nel caos dell’universo interiore.
Espressione della propensione dialogica che anima la mostra, le opere di Aldo Pancheri si collocano in una dimensione relazionale in cui forme geometriche e immagini tratte dalla realtà sono in grado di confrontarsi trovando un raffinato e sottile equilibrio. Poste su sfondi fatti di ampie campiture di colore, le presenze astratte e concrete, nonostante il contrasto insito nella loro natura, determinano un confronto tra loro stesse e il vuoto che le circonda giungendo ad un’armonia che è insita nel concetto stesso di relazione.
Paolo Tomio presenta quattro lavori realizzati con la tecnica della digital art: attraverso sistemi grafici computerizzati, l’artista riconduce le forme create digitalmente ad una dimensione organica, umana. L’emancipazione dal rigore planimetrico e il compiacimento nell’abbandonarsi alla seduzione delle forme curve portano l’occhio a scivolare nell’articolarsi dello spazio che, nelle variazioni cromatiche, diviene ambiente in cui si esercita una possibilità spaziale. La ricerca di un’armonia tra le forme si fa contrappunto musicale sullo spartito della tela. Lo spettatore è chiamato ad immergersi in una dimensione instabile in cui l’approdo è incerto.
Nel gruppo dei veneziani la ricerca di un equilibrio passa per Fabio Citton, attraverso l’eliminazione dell’eccesso e la ricerca dell’essenza pura del reale. Una ricerca francescana della privazione e della continenza che ha portato l’artista a privare le sue opere di ogni orpello per raggiungere una dimensione condivisibile. Il rapporto dialogico tra l’io e l’altro da me è, come più volte sostenuto dall’artista stesso, il motore della crescita umana dell’individuo. In quest’ottica relazione Citton presenta i suoi Dialoghi, grandi tele monocrome sulle quali, attraverso un processo di lento e progressivo lavoro sull’intreccio di fili che compone la tela, si vengono a creare ombre leggere che attraversano la superficie candida come presenze che emergono dalla memoria e rimanere indelebilmente impresse.
La grafica è la tecnica d’elezione di Gino Di Pieri. Sfruttando le enormi possibilità formali, spaziali e pittoriche offerte dall’acquatinta e dall’acquaforte, Di Pieri crea composizioni fatte da forme che si articolano in un rapporto contrastante non indenne da graffi e abrasioni. Di questo scontro non rimangono che frammenti, resti privi di linfa vitale in un ambiente ostile. I resti vegetali, i tronchi e le radici diventano presenze sospese tra una luce accecante e ombre che s’insinuano turbando la stasi.
Emilio Pian si distingue per il grande rigore delle sue composizioni. A cavallo tra pittura e scultura, le opere di Pian si dispongono nello spazio travalicando la bidimensionalità della tela e la verticalità della visione. Sulla scorta della lezione suprematista, l’artista condensa in forme astratte – quadri e rettangoli ordinatamente disposti – contenuti emotivi.
Magmatica e gestuale, la pittura di Raffaele Rossi è materia pulsante di un informale primigenio. Ne Il presagio di passione è evidente il riferimento al tachisme francese, in modo particolare a Fautrier. Quelle di Rossi sono concrezioni in corso di sedimentazione, sedimentazioni di esperienze emotive intrappolate nella contingenza della materia. Ne è un chiaro esempio Presagio di passione, presentato in mostra come emblema di una ricerca che trova nell’informale la cifra stilistica più congeniale ad esprimere la complessità della sua arte. L’idea di mistero sottesa nei lavori di Rossi, palesata sin dal titolo in Vaso magico I, viene espressa in una sospensione provocata dalle forme nel loro germinare, nell’evoluzione che porta la forma a divenire formazione seguendo un processo di riequilibrio che non è altro che lo storico compromesso tra idea e materia proprio della creatività artistica.
Uno slancio vitalistico verso le potenzialità del colore ci viene offerto da Si fa sera e Mattino, tele di Angelo Zennaro, artista veneziano da tempo attivo non solo in pittura ma anche nell’arte del vetro. Il legame con la laguna e gli approdi incerti che essa offre vengono tradotti da Zennaro in un’irruenza tonale che è ottimistica propensione alla sfida della ricerca di una dimensione personale. La struttura linguistica sottesa nelle sue tele è fatta di segni e incisioni che, nelle due opere presenti in mostra, abbandonano le graffianti esperienze passate per approdare ad un meno nervoso pittoricismo. E’ così che l’incertezza diviene possibilità di rinnovamento, nell’ottica che l’instabilità, anche del colore, si dissolve nell’abbandono delle resistenze.